Mark-Up: La sostenibilità delle persone nella sensibilità next gen

Francesco Oldani

Intervista pubblicata sul n. 305 di Mark Up

Risorsa è una Pmi italiana sul mercato da oltre 30 anni nel settore del software e dei servizi. È un’impresa che è stata in grado ritagliarsi uno spazio importante nel settore del software per la salesforce automation e il trade marketing management delle imprese del largo consumo. Da luglio 2021, il fondatore di Risorsa ha lasciato le redini dell’azienda al figlio, Federico Maffei, 33 anni già da 7 presente in azienda. Un esponente della next gen che Mark Up ha incontrato.

Federico Maffei – Amministratore Delegato di Risorsa

 

Risorsa è una PMI che opera in un mercato costellato da giganti internazionali. Come siete riusciti a rimanere sul mercato per tutto questo tempo crescendo e affermandovi?

Tutto parte dalla capacità di ascoltare i clienti. Risorsa è sul mercato da oltre 30 anni ed è stata fondata da mio padre nell’89. Ancora prima di fondare Risorsa, ha fatto esperienza nel settore tecnologico come commerciale nella vendita di dispositivi hardware e strumenti software per l’automazione della forza vendita.  Il suo approccio, che è quello di Risorsa e che ci contraddistingue, è nella volontà di ascoltare le esigenze dei clienti. Grazie a questa caratteristica distintiva siamo riusciti a costruirci una nicchia di mercato che ha garantito la crescita dell’azienda. Il nostro mercato che abbiamo contribuito a creare, ha un’elevatissima specializzazione in quanto il largo consumo o più in generale il fast moving consumer goods italiano, ha delle caratteristiche uniche che non si trovano sui mercati stranieri. Capacità di ascolto, iper specializzazione e capacità di creare una nicchia di mercato ci hanno permesso rimanere sul mercato e di crescere.

L’iper specializzazione è una scelta o una necessità?

Direi entrambe. Una scelta dettata dalla necessità. Il mondo dell’it nel rivolgersi a grandi player internazionali del largo consumo, che sono il nostro target, lo fa con player di dimensioni molto maggiore della nostra. La necessità di dover competere con colossi di questo tipo ci ha portato sulla strada di diventare un’eccellenza in una nicchia di mercato.

Parlando di management, vale ancora la regola non scritta che prima di diventare amministratore delegato è necessario passare per l’area commerciale?

Il mio punto di vista è nel contesto di una pmi, per cui non posso esprimere un parere per aziende multinazionali di grandissime dimensioni. Però penso che un passaggio dalla scuola commerciale sia necessario e fondamentale, una bella palestra. Io stesso quando sono entrato in azienda, per i primi tre anni mi sono occupato della parte commerciale su una soluzione di vendita di sales force automation per le pmi. Un’esperienza che fortifica e che permette di essere a stretto contatto con i clienti che sono la migliore fonte di innovazione.

Con la sua gestione, Risorsa manterrà l’assetto di business attuale o sono previste evoluzioni inedite?

Da bravi piemontesi tendiamo a non fare mai il passo più lungo della gamba. Nella nostra storia avremmo potuto anche crescere maggiormente, però abbiamo sempre cercato di privilegiare la stabilità e solidità dell’azienda. Condivido questa filosofia ereditata da mio padre e penso che sia necessario mantenere l’impegno nell’ambito in cui si esprime il massimo del proprio valore.

Detto questo, la mia visione non è quella di cristallizzare quanto si fa ma di innovare in settori tangenti a quello che è il nostro core business in modo da far evolvere funzionalmente l’offerta.

Risorsa è una pmi italiana che ha le caratteristiche classiche di essere un’impresa padronale e famigliare. Quali i limiti e i vantaggi di questa fisionomia di azienda?

Risorsa, per i primi 20 anni è stata un’impresa padronale ma oggi ha un assetto che si è evoluto da quando io e mia sorella siamo entrati in azienda. Rimane un’impresa famigliare nella quale tutti i collaboratori vivono e condividono gli stessi valori. Uno di questi è la flessibilità e aiuto reciproco che per noi è un valore ed è un elemento a favore della dimensione di impresa familiare. Ovviamente vi è anche l’altro lato della medaglia: in un’azienda famigliare non si riesce ad avere un’organizzazione strutturata come in una grande azienda.

Tuttavia, un’impresa quando cresce oltre un certo limite, forse non può continuare a essere familiare ma occorre managerializzare la struttura. Cosa ne pensa?

Credo che la managerializzazione sia fondamentale soprattutto in un mercato globale come l’attuale. Anzi è un aspetto fondamentale anche in una Pmi. Anche noi, pur mantenendo un’anima familiare, da diversi anni abbiamo introdotto elementi di managerializzazione attraverso una struttura di middle management che possa aiutare alla crescita portando valore e diversità.

Lei è Ad da pochi mesi. La sua azione in che modo si caratterizzerà?

Partendo dal concetto di managerializzazione accennato prima, dal mio punto di vista è molto importante il tema dell’inclusione. Proprio perché stiamo vivendo un passaggio generazione e cambio di forma mentis che abbandona la fisionomia padronale, voglio puntare a includere il middle management nella vita e gestione aziendale, farlo sentire parte di un progetto responsabilizzando le persone. Dobbiamo lasciare spazio anche alla creatività e all’immaginazione con una giusta guida strategica. Questo è il mio obiettivo prossimo. Un altro elemento evolutivo è la crescita in settori vicino al nostro, un ampliamento del target di riferimento verso la media impresa in cui vi soni diversi category leader. Da qui ai prossimi anni cercheremo di allargare ulteriormente un po’ il target su aziende innovative che magari sono ancora di piccole dimensioni ma esprimono eccellenza. Penso a settori come quello del bio o dell’healty food. E in questo percorso vogliamo sviluppare tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale.

Siete un’azienda italiana che segue i grandi clienti all’estero ma non siete presenti fuori dai confini nazionali. Porterete la vostra offerta ad aziende estere su mercati esteri?

No. Le caratteristiche dell’area commerciale del settore del largo consumo in Italia sono peculiari, non hanno riscontro all’estero per struttura e modalità. E la nostra offerta, essendo iper specializzata, non si adatta. Come dicevo, non facciamo il passo più lungo della gamba.

Parliamo di organizzazione del lavoro. La pandemia ha introdotto forzatamente lo smart working. Cosa ne pensa di queste nuove modalità di lavoro? Complementari o sostitutive?

Ritengo e spero che rimangano complementari. Quando obbligati dai vari lockdown, abbiamo dovuto attivare lo smart working, temevamo un calo della produttività dovuta all’impossibilità di controllare il lavoro. Invece è accaduto il contrario: le persone hanno reagito con grande responsabilità. In un settore come il nostro, il terziario, il remote working è un’opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire ma, allo stesso tempo, trovo fondamentale l’aspetto di socialità e di vicinanza.

La sostenibilità. Come interpreta questo tema?

La necessità di attuare azioni per invertire il cambiamento climatico è prioritaria. Occorre dire che i pesi di intervento sono molto differenti in funzione dei settori. Su aziende manifatturiere, spiccatamente energivore il tema è critico e di primissimo piano. Noi, come aziende del terziario avanzato possiamo fare poco: siamo già in una fase di ottima razionalizzazione. Per me la sostenibilità ha una declinazione principale in termini di sostenibilità economica propria e delle famiglie composte di persone. Il fatto di essere un’azienda familiare è un vantaggio perché ci permette di considerare le persone con un atteggiamento più attento e responsabile.

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